A fare le spese della ventilata chiusura dell’ex Ilva di Taranto ci sarebbero anche i costruttori di macchine agricole; un settore strategico per l’industria italiana, alla luce del valore alla produzione di 7,9 miliardi di euro, che è un grande utilizzatore di acciaio.
È quanto si legge in un articolo a cura dell’Ufficio stampa di Veronafiere che ha intervistato su questa tematica Alessandro Malavolti (nella foto sotto), presidente di FederUnacoma, la rappresentanza dei costruttori di macchine agricole aderente a Confindustria.
«L’Ilva produce acciai piani di altezza di circa 15 centimetri, che poi vengono trasformati da altre realtà in bandelle di coils – ha spiegato Malavolti –. Di fatto noi costruttori siamo clienti indiretti, attraverso alcuni trasformatori. Indirettamente, però, la crisi dell’Ilva ci coinvolge molto pesantemente».
A detta del numero uno di FederUnacoma, «visto che la produzione di macchine e mezzi agricoli è molto consistente e la componentistica di acciaio pesa per il 65-70 per cento, di cui il 30 per cento circa è rappresentato dagli acciai cosiddetti piani, che potrebbero provenire dall’Ilva di Taranto, prevediamo conseguenze speculative sui prezzi, con una turbativa di mercato di almeno due o tre mesi e con forti oscillazioni di prezzo».
«Non avremo nell’immediato una carenza di prodotto – ha fatto presente Malavolti – perché il mercato sta un po’ risentendo della crisi e dunque la disponibilità di acciai c’è, anche a livello di stock. Però è ipotizzabile un incremento dei prezzi nell’ordine del 10-15 per cento a livello italiano, con minori influenze a livello europeo. Ormai l’acciaio è diventato un prodotto che è entrato massicciamente nelle politiche internazionali, si produce e si utilizza tendenzialmente a livello continentale: quello cinese resta in Cina, quello americano negli Stati Uniti, quello russo in Russia e quello europeo in Europa».
PREVISTI EFFETTI SUL MERCATO NEL SECONDO TRIMESTRE 2020
Gli effetti sul mercato si faranno sentire, a giudizio del presidente di FederUnacoma, quando ripartirà il mercato delle macchine agricole, presumibilmente nel secondo trimestre del 2020, «visto che con la chiusura dell’Ilva di Taranto potremmo perdere quasi un decimo della produzione europea. Alternative all’Ilva, naturalmente, ce ne sono, però se dovesse finire la vicenda con la chiusura dello stabilimento, ci ritroveremmo senza più acciaio italiano, a parte Arvedi o Tenaris»
Quali soluzioni potrebbe suggerire FederUnacoma? «A questo punto – ha affermato Malavolti – penso che l’unico modo per salvare la faccia sia nazionalizzarla, anche se personalmente, da privato cittadino che paga le tasse, non sarei contento nemmeno un po’. Ma è meglio salvarla e poi privatizzarla, che chiudere».
TRATTORI E MEZZI AGRICOLI NON DOVREBBERO SUBIRE RINCARI
La chiusura dell’Ilva di Taranto avrà effetti sui listini dei trattori e dei mezzi agricoli? «No – ha risposto Malavolti nell’intervista a cura dell’Ufficio stampa di Veronafiere –. Noi e la filiera tamponeremo eventuali aumenti del costo dell’acciaio senza ribaltarli sui prezzi delle macchine agricole, anche perché i nostri concorrenti esteri non li subiranno e non possiamo rischiare di andare fuori mercato. Li fronteggeremo all’interno della nostra catena».
In merito alle possibili conseguenze di una chiusura dell’acciaieria l’Ufficio stampa di Veronafiere ha interpellato anche l’Unione nazionale dei commercianti di macchine agricole (Unacma).
PER UNACMA LE PREOCCUPAZIONI CI SONO, MA NON RIGUARDANO UN AUMENTO DEI PREZZI
«Il caso ex Ilva non preoccupa, almeno nel medio termine, con riferimento a eventuali ripercussioni di prezzi nel settore delle macchine agricole – ha tranquillizzato Roberto Rinaldin, al vertice di Unacma – . Piuttosto, consideriamo la situazione attuale una mera strategia speculativa che grava sul tessuto socio-economico di una regione che stenta a crescere nel settore agricolo, seppure sia importante almeno tanto quanto quello industriale. Questo è un aspetto che impensierisce».
A preoccupare è anche «la svendita di competenze acquisite dalle nostre risorse umane a player di altri paesi che riescono giocoforza a bruciare tappe di crescita – ha commentato Rinaldin –. È altresì evidente che stiamo parlando di una tappa conclusiva di una strategia programmata fin da troppo tempo e che combattere ora sembra inutile».
Fonte: Ufficio stampa Veronafiere